È l’esperienza a cambiarmi davvero e non quello che penso di sapere
C’è una differenza enorme tra conoscere un percorso nella teoria e conoscerlo nella pratica.
La nostra stessa anima non si accontenta di vedere tutto il quadro dall’alto, e non si accontenta della sua stessa conoscenza, che è infinita, ma spinge una parte di sé – cioè noi – nella dimensione materiale, per fare quella cosa insostituibile che si chiama “esperienza”.
Perché mai? A cosa mi serve fare esperienza, al di là della possibiltà di imparare qualcosa di nuovo?
È perché la luce della consapevolezza cresce solo attraverso l’esperienza, cioè solo nella relazione con la materia.
Conoscenza, esperienza, consapevolezza
La mia insegnante di guarigione esoterica diceva che c’è un ciclo composto di: conoscenza, esperienza e consapevolezza.
In pratica, prima viene la conoscenza, cioè gli studi, i ragionamenti, anche l’intuito (che è una forma di conoscenza diretta).
Poi segue l’esperienza, in cui applichiamo effettivamente la conoscenza acquisita, il sapere.
Infine, ne deriva una nuova coscienza, intesa come luce, come consapevolezza spirituale.
Poi il ciclo ricomincia: la nuova consapevolezza raggiunta spinge a cercare nuova conoscenza, quindi a metterla in pratica, e ciò genera ulteriore consapevolezza.
La conoscenza porta all’esperienza, e l’esperienza porta alla consapevolezza, e la nuova consapevolezza spinge a ricercare nuova conoscenza e così via.
Se mi incammino, accadono trasformazioni
Se mi fermo alla prima fase, quella della conoscenza e basta, questo non mi cambia, non immette alcun nuovo elemento nel mio “sistema”. Posso avere tutte le nozioni del mondo, ma io, individuo, rimango uguale a me stesso.
Se invece, spinto dalla stessa conoscenza, mi incammino dentro l’esperienza, qualcosa in me comincia a cambiare, accadono delle trasformazioni che non avevo previsto… infatti l’esperienza è sempre un insieme più ampio rispetto alla conoscenza, per quanto questa possa essere accurata.
Il fare esperienza mi porta a contatto con una conoscenza operativa, con nuovi pezzi di realtà, con i quali interagisco e quindi, inevitabilmente, vado a cambiare delle parti di me, così come a mia volta vado a cambiare dei pezzi di realtà.
Quando c’è una interazione, avviene sempre un qualche cambiamento che coinvolge le parti in causa. Quindi, io e la realtà interagiamo fra di noi e questo produce trasformazione in entrambi.
Ecco che, attraversando un percorso, interagendo con i suoi aspetti materiali ed energetici, ciò innesca in me un cambiamento. Alla fine del percorso non sarò lo stesso di prima, in un modo o nell’altro.
Il sapere intellettuale, dunque, non produce un cambiamento, a meno che non comincio ad applicarlo.
La conoscenza è il primo passo
L’essere ha bisogno di fare esperienza, di interagire con la materia, per produrre una consapevolezza più ampia.
Questo non toglie che, il primo passo, di conoscenza e di sapere, sia essenziale. Anche se non sufficiente, è comunque necessario.
Quando manca, non abbiamo la curiosità di interrogarci sui noi stessi e sul mondo, di ricercare, di raccogliere informazioni.
Se vogliamo che la nostra direzione sia frutto non del caso e del caos, ma di verità e congruenza con il nostro ordine interiore, possiamo partire dal livello della conoscenza, cioè della ideazione, dove cominciamo a farci delle domande: chi sono? Cosa mi chiama? Dove voglio andare? Quali sono i prossimi passi?
Le risposte sono inizialmente teoriche, sul piano cognitivo o intuitivo. e va bene così, perché è il punto di partenza. Ma poi dobbiamo metterci in moto, dare forma ai concetti.
E non devono essere per forza risposte definite, ma è sufficiente che raccolgano i nostri valori e intercettino dei desideri, quel tanto per metterci in cammino e cominciare a immergerci nell’esperienza.
La mente non capisce
Mentre faccio i miei passi effettivi e materiali, lì avviene la mia crescita, lì cominciamo a trasformarmi, a rapportarmi con la realtà e con altre parti di me; giungerò a una conoscenza che pervade l’essere, che poggia sull’esperienza, e quindi produce una consapevolezza più ampia.
Tutto questo non è concepibile dalla mente. La mente non capisce davvero la differenza tra conoscere la teoria di qualcosa e attraversarlo materialmente, perché quell’attraversamento materiale non ha a che fare con il ragionamento, ma si incastona con le pieghe della coscienza.
Anzi, quando mi metto in moto, quando passo all’azione e faccio esperienza, la mente e i ragionamenti tendono a venir meno, a morire, per cui è un territorio che alla mente non interessa proprio.
Ecco che posso leggere, studiare, sapere miliardi di cose, ma restare uguale a me stesso, perché quel sapere non mi cambia… magari, mi gratifica nei miei esercizi intellettuali, nella mia retorica, ma di fatto non incide sul mio essere, sulla mia personalità, sulla mia anima.
Comincio a cambiare solo nel momento in cui metto in pratica quel sapere e lo attraverso, lo vivo con la mia pelle, cioè solo nel momento in cui entro in relazione con il mondo materiale.
È l’esperienza a cambiarmi davvero, non quello che penso di sapere.
Parlare e mettere in pratica
Ci sono persone molto preparate, super-informate, con tantissime nozioni e che parlano di argomenti eccelsi, se pur nella loro vita non dimostrano di applicarli… e poi ci sono persone che magari sanno di meno, sanno poco, ma quel poco che sanno lo praticano realmente, lo sperimentano.
Con un po’ di attenzione, è possibile percepire la differenza fra questi due tipi di persone; chi parla e mette in pratica ciò che professa arriva in qualche modo anche al cuore (e non solo alla testa), e soprattutto trasmette un’aura di concretezza e radicamento.
La pretesa della mente
Il mio invito è di fare attenzione a come la nostra mente tenda a sottovalutare il valore l’esperienza.
La mente pretende che, poiché sa fare i suoi calcoli, allora ha capito ogni cosa. È proprio convinta che fare i ragionamenti equivalga a fare l’esperienza, a sostituirla.
Di fatto, finché non metto in pratica quella certa cosa, io in realtà non “so” nulla su di essa.
Magari so come potrebbe essere, intuisco anche possibili sviluppi, ma, finché non passo all’azione, non “so veramente” ciò di cui parlo, o comunque rimane un sapere parziale.
Tutto questo discorso vale anche quando ci mettiamo alla ricerca della nostra missione di vita.
Io non so davvero cosa accende la mia anima e la mia energia finché non sperimento sul campo.
Chiaro che posso avere già degli indizi, posso avere una buona intuizione, un buon sentire, e questo è importante, perché mi aiuta a individuare più velocemente il campo in cui sperimentarmi, ma devo comunque restare aperto e non illudermi di conoscere a priori il percorso.
Ci sono porte che appaiono solo se ti metti in viaggio
Il punto è: lasciamo andare ogni pretesa o illusione di sapere come andrà quell’esperienza perché, inevitabilmente, essa prenderà forme nuove.
Può accadere che, nell’azione, scopri di volere cose diverse: nella testa quel desiderio ti chiamava tantissimo, ma – una volta che cominci ad assaggiarlo veramente – perdi interesse.
O, viceversa, cominci a fare qualcosa senza troppe aspettative, quasi per caso, e scopri che prende sempre più spazio dentro di te, e alla fine si trasforma nella tua nuova strada.
Ci sono porte che appaiono solo se ti metti in viaggio. Non un istante prima.
Quindi, molliamo quella presunzione di fermarci al livello della “conoscenza”, che sia di studio o anche intuitiva, e mettiamoci in azione il prima possibile, perché è questo a portarci trasformazione, consapevolezza e allineamento con la nostra verità.
Fammi sapere se ti piace questo tipo di contenuti.
A presto!
Camilla Ripani
Life Purpose Coach
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